Emiliano Terzoni

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Emiliano Terzoni fu musicista (fisarmonicista) cantore delle poesie del padre Cesare Terzoni e custode delle leggende e delle favelle più antiche e colorite del paese di San Felice. Visse nella località La Torre, sposato ad Elena Bani.

Ha condotto per decenni un meraviglioso trattore a cingoli landini CL 4000, il mostro buono, celeste e giallo, che rendeva felici i bambini ad ogni suo passaggio, quando la terra tremava e il rumore dei cingoli assordanti trasformava il trattore in un diavolo di potenza, terrore e timore, ma poiché guidato dal grande uomo buono, domato e innocuo.

Famose erano le sue storie, che celebravano la vita dei campi e delle famiglie che hanno condiviso il vissuto di San Felice.

Le sere d’estate, insieme ai grilli, potevi sentirlo suonare la fisarmonica, una Silvestrini rossa, con la quale sfidava il compagno e amico Ettore Buselli (Ponzano), in musical duello. Da San Felice Torre, via aerea, fino alle Case Basse, il botta e risposta tra i due grandi musicisti era raro, lasciando spesso spazio al riposo dell’uno, che si godeva la musica dell’altro, a giorni alterni, per poi suonare insieme nelle occasioni di festa del paese.

Rimasto fino agli ultimi giorni di vita nella sua casa di San Felice, porta via con sé una delle parti più importanti della memoria storica del paese.

 

Dediche ed omaggi

Attendevo con angoscia la notizia e questa è arrivata: Emiliano, non ci sei più e con te scompare un pezzo della mia memoria. L’hai portata via con te e questo mi disorienta. Per molti anni hai voluto contribuire alla ricostruzione della mia storia e quella di chi mi ha dato la vita, trovando nei tuoi racconti ricchi dettagli che formano il mosaico delle mie origini.

Ma più di ogni altra cosa sei stato il grandissimo e degno divulgatore delle poesie del grande Cesare Terzoni, tuo padre, conosciuto per le sue opere dal sapore antico, nelle sere accanto al fuoco ci deliziavi declamando i suoi scritti con l’enfasi che sapevi mettere nei tuoi racconti, per catturare e tenere viva l’attenzione di chi, come me, non perdeva una parola che usciva dallo scrigno dei tuoi ricordi.

Hai conquistato anche i miei figli, che piangono la tua perdita, loro no, non se l’aspettavano, come se con gente come te la morte non potesse prevalere, non si può seppellire la sorgente dei ricordi, ed allora, per quanto abbiamo ricevuto, ti saremo sempre grati ed il tuo ricordo resterà vivido in noi, anche quando non saremo lì, a San Felice, tra le nostre montagne, seduti davanti alla tua casa, ad ascoltarti nelle sere d’estate.

So che l’ultimo respiro l’hai voluto dedicare a tutti quelli che hai lasciato qui a piangerti, regalandoci un addio consapevole e questo è proprio delle persone grandi, come un consumato attore sei uscito di scena ringraziando il pubblico, ma a me che ti conoscevo piuttosto bene, par di scorgere la tua ironia, quella che ci accomunava e ci rendeva molto simili, questione di ereditarietà?

La neve è caduta, ha coperto i tuoi passi, le tue orme, ma non la tua essenza. A primavera verrò, a constatare la differenza, non ti troverò seduto sulla tua poltrona, ansioso di rinverdire storie, cantilene e drammi d’altri tempi, tragedie fumose perdute nel tempo.

Dopo di te, più nessuno potrà, interrogato, rispondermi a dovere, su chi era quello o l’altro dei miei antenati, mi mancherai come mi mancò mio padre, il più diretto conoscitore della mia storia, troppo presto rubato ai suoi cari. Forse per questo la mia voglia di conoscere si rivolgeva a te, con l’immensa memoria che non ti ha mai lasciato, lungo tutta la tua semplice intensa vita.

Bastava che io pronunciassi un nome e tu, pronto e felice, ti prodigavi in lunghi racconti riccamente insaporiti con aneddoti lieti che dopo aver gustato, trascuravo di fissare in me, confidando che saresti stato sempre lì, per me, a ricordare ancora. Questo per molti anni, tanti da non ricordarli, ogni volta pensando che la tua mente vacillasse ma poi, al primo incontro, la magia si rinnovava, le tue gambe no, non volevano reggerti ma il resto era intatto, ed io cercavo di rubarti ancora qualcosa, da tenere con me, da tramandare ai miei figli.

I primi tempi ho cercato di fissare sul foglio di carta i nomi che mi dettavi, un albero genealogico composto da pochi nomi più volte ripetuti, così come si usava una volta, un nome tramandato nella stessa famiglia, tanto da perdere il conto, poi con l’ausilio dei nuovi mezzi tecnologici, ti ho fatto delle riprese video, piccoli sketch che userò, quando la nostalgia mi assalirà.

Eri unico ma eri anche l’ultimo, ora si perderanno con te tutti i ricordi, resteranno di questi solo le orme, come quelle lasciate nella neve, di questo inverno bianchissimo.

Addio Emiliano,

Elisa Terzoni

  







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